Il saggio riguarda Las Meninas di Diego Velázquez. Ma sarebbe più giusto dire il contrario, che è il quadro a riguardare il saggio. L’autore ha due libri in mano. Contempla il quadro di Velázquez e si rivolge agli autori de Il dramma barocco tedesco e Le parole e le cose, Walter Benjamin e Michel Foucault. Dell’immagine guarda la cosa che non è stata dipinta, ma che non di meno è visibile, la rappresentazione della pittura; dei libri legge quel che non è stato scritto, oppure l’impensato, l’incontornabile, dell’ordine del loro discorso. Sarà un viaggio nella selva della somiglianza, sulla via della analogia che conduce alla verità in pittura. L’autore lascia indietro la verità effettuale di Foucault e segue l’immaginazione priva dell’immagine di Benjamin; poi scambierà le parti, come si conviene al teatro che si apre in pittura, al sipario che si leva sulla politica. È un gioco degli occhi che si offre alla visione, figure nate dalla luce, in adorazione della luce, per un patto tra la luce e l’ombra, nel fondo intimo e duraturo che lo ispira e lo rivela, senza idealità e malizia, giungono a leggibilità in un’ora esatta quanto intempestiva del tempo. L’attimo messianico della redenzione profana. Las Meninas espone l’idea della rappresentazione, ma non è detto che il quadro elabori da una parte la sua mancanza come un proprio lutto, dall’altra la sua presenza come l’ordine proprio dello spazio del moderno. O dell’età della storia. Il commento e la critica indirizzano la ricerca su una terza via. Ad emergere è la potenza politica della pittura che si ritrae nel quadro piuttosto che il soggetto e la sostanza dipinti sulla tela. Lo stato d’eccezione effettivo del barocco. Una segnatura teologico politica che orienta la ricerca nel buio del contemporaneo e la rivolge al dimenticato di ogni azione ed opera, la contemplazione e l’inoperosità.

I miei giorni con Velazquez. Ancora una volta davanti a "Las Meninas". Per un saggio di iconologia politica

Domenico Scalzo
2025

Abstract

Il saggio riguarda Las Meninas di Diego Velázquez. Ma sarebbe più giusto dire il contrario, che è il quadro a riguardare il saggio. L’autore ha due libri in mano. Contempla il quadro di Velázquez e si rivolge agli autori de Il dramma barocco tedesco e Le parole e le cose, Walter Benjamin e Michel Foucault. Dell’immagine guarda la cosa che non è stata dipinta, ma che non di meno è visibile, la rappresentazione della pittura; dei libri legge quel che non è stato scritto, oppure l’impensato, l’incontornabile, dell’ordine del loro discorso. Sarà un viaggio nella selva della somiglianza, sulla via della analogia che conduce alla verità in pittura. L’autore lascia indietro la verità effettuale di Foucault e segue l’immaginazione priva dell’immagine di Benjamin; poi scambierà le parti, come si conviene al teatro che si apre in pittura, al sipario che si leva sulla politica. È un gioco degli occhi che si offre alla visione, figure nate dalla luce, in adorazione della luce, per un patto tra la luce e l’ombra, nel fondo intimo e duraturo che lo ispira e lo rivela, senza idealità e malizia, giungono a leggibilità in un’ora esatta quanto intempestiva del tempo. L’attimo messianico della redenzione profana. Las Meninas espone l’idea della rappresentazione, ma non è detto che il quadro elabori da una parte la sua mancanza come un proprio lutto, dall’altra la sua presenza come l’ordine proprio dello spazio del moderno. O dell’età della storia. Il commento e la critica indirizzano la ricerca su una terza via. Ad emergere è la potenza politica della pittura che si ritrae nel quadro piuttosto che il soggetto e la sostanza dipinti sulla tela. Lo stato d’eccezione effettivo del barocco. Una segnatura teologico politica che orienta la ricerca nel buio del contemporaneo e la rivolge al dimenticato di ogni azione ed opera, la contemplazione e l’inoperosità.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2765251
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