Il Saggio è contenuto nel Volume ‘Scenari dell’abitare abusivo- strategie per l’intervento di recupero’ , che raccoglie gli Atti dell’omonimo convegno, svoltosi ad Agrigento nei giorni19 e 20 ottobre 2007. Il testo riproduce la relazione ivi esposta, analizzando le problematiche dell’abitare abusivo sotto un profilo criminologico. Si osserva che là dove gli insediamenti abitativi non sono disciplinati e controllati si creano ‘ zone franche’ , al riparo delle quali cresce e prospera un sottobosco di clandestinità, devianza e criminalità. L’abitare abusivo spesso costituisce uno stile di vita per alcune categorie di devianti, quali i vagabondi ed i clochards, che sono spesso inclini a commettere tutta una serie di reati di reati minori- risse, piccoli furti, danneggiamenti, ecc. – e che comunque costituiscono un campanello di allarme per la criminologia, in quanto sono essi stessi a rischio di vittimizzazione. Ma, accanto a questa prima categoria di ‘abitanti abusivi’, ne esistono altre che generano una preoccupazione ben maggiore, perchè si tratta di persone che ricercano una sistemazione abusiva per coprire i loro stessi reati. Fra costoro si possono creare ulteriori distinzioni : da un lato, persone che si nascondono perché non hanno diritto a rimanere in Italia – in quanto senza permesso di soggiorno o colpite da un decreto di espulsione- e persone che ricercano la clandestinità per potere svolgere indisturbate i propri traffici illeciti. Questo ultimo gruppo si dimostra portatore di notevoli valenze criminali ed i reati ad esso riconducibili sono di indiscussa gravità : favoreggiamento della prostituzione, spaccio di stupefacenti,ricettazione, traffico di armi,e molti altri reati connessi allo sfruttamento, soprattutto di donne e di minori,riconducibili in sostanza alle fattispecie descritte dagli articoli 600, 600bis e 601 del Codice Penale, spesso resi noti all’opinione pubblica dai titoli dei giornali che parlano di ‘ lavoro nero’, ‘minori argati’,’ pedofilia’,’prostituzione minorile’, ‘tratta di schiavi’, ‘ commercio di organi’. A questo catalogo delinquenziale si possono aggiungere fattispecie collegate a fenomeni conseguenti al vivere clandestino e criminale, quali i regolamenti di conti - con conseguenti lesioni ed uccisioni fra criminali -, nonché le intimidazioni ed aggressione nei confronti di estranei malcapitati. Spesso, la presenza di tale clandestinità criminale condiziona la vita di un intero quartiere, spesso ‘contagiando’ anche gli abitanti regolari, oppure intimidendoli e vittimizzandoli al punto da costringerli ad andarsene. L’intero quartiere rimane così ‘ in mano’ alla criminalità. Il problema è grave e non occorre soltanto lottare con ogni mezzo disponibile , sociale e di polizia, intervenendo là dove la clandestinità abbia già preso piede: appare infatti opportuno, in un’ottica preventiva, evitare alcuni errori spesso commessi da parte di cittadini e pubbliche amministrazione nella gestione dell’assetto del territorio cittadino , che spesso degenerano nella creazione di un ambiente urbano ‘ votato’ alla clandestinità ed al crimine. Il Saggio evidenzia e descrive, con riferimento alla concreta casistica italiana ed anche con il supporto di immagini fotografiche, alcune di queste gravi ‘sviste.’ Si va da errate valutazioni speculative dei privati, avallate da concessioni edilizie superficialmente concesse, che hanno creato quartieri avulsi dal contesto urbano, caratterizzati da un pessimo rapporto qualità prezzo, maltenuti e pertanto destinati ad una decadenza precoce e pertanto appetibili solo da chi ricerca la clandestinità e da extracomunitari che superano l’impasse degli alti canoni vivendo ammassati e subaffittando agli irregolari – sono i casi evidenziati del Quartiere Braida a Sassuolo, del Complesso Serenissima a Padova e di Urbino2 a Ponte Armellina di Urbino-, fino all’incuria da parte di proprietari e della stessa Pubblica Amministrazione nei confronti di edifici- case, scuole, fabbriche, padiglioni all’interno di Parchi pubblici- caduti in disuso ed abbandonati alla sporcizia ed al degrado- basta pensare alla fabbrica dimessa occupata abusivamente a Milano e divenuta sede del ‘Centro sociale Leoncavallo’, o al bacino di coltura della criminalità costituito, fino ad un recente sforzo di bonifica, dalla zona dei piccoli edifici che ‘abbellivano’il Parco del Valentino a Torino. Talvolta anche iniziative nate con intenti sociali possono degenerare se vengono effettuate senza un’adeguata riflessione circa le ricadute criminali connesse alla scelta di inserire utenti già caratterizzati da problematiche sociali all’interno di tipologie abitative che, pur corrispondendo a moderni stilemi architettonici, a causa della loro ampiezza e scarsa connessione con il resto del territorio producono isolamento, disgregazione sociale e facilitano l’abusivismo e le opportunità criminali. Gli esempi del ‘Serpentone’ di Corviale a Roma – i cui ballatoi, pianerottoli e la stessa lunga galleria sono diventati spazi di abitazione abusiva e sede di criminalità- e delle ‘Vele’ di Scampia, la cui intensa valenza criminale ha determinato la scelta estrema dell’abbattimento- sono a questo proposito emblematici. Le linee programmatiche proposte sono pertanto quelle di una ‘prevenzione avanzata’, volte ad evitare le cause che sono ‘ a monte’ del fenomeno dell’abusivismo e della criminalità ad esso connessa e sono rivolte tanto a tutti cittadini , quanto agli Urbanisti, ai Progettisti ed alla Pubblica Amministrazione : curare la manutenzione degli edifici dismessi e, se possibile, riqualificarli con nuove destinazioni d’uso; impiegare maggiore consapevolezza fin dalla stesura dei piani regolatori e dal momento della concessione dei permessi di costruire,valutando in concreto tanto le chances di vitalità di un territorio urbano, quanto la idoneità di un’opera edilizia in rapporto alle disponibilità economiche,alle esigenze ed alle caratteristiche sociali e culturali dei possibili utenti concreti. Ovviamente, tutto ciò dovrà essere inquadrato all’interno di politiche sociali di più ampio respiro,dirette ad evitare discriminazione e pericolose ghettizzazioni ed a favorie l’interazione e la partecipazione degli abitanti alla gestione della città.

ILLEGAL LIVING AND CRIMINALITY: PERSPECTIVES FOR HOUSING RECOVERY AS A MEAN OF PREVENTION

BARBONI, RITA MARIA;
2007

Abstract

Il Saggio è contenuto nel Volume ‘Scenari dell’abitare abusivo- strategie per l’intervento di recupero’ , che raccoglie gli Atti dell’omonimo convegno, svoltosi ad Agrigento nei giorni19 e 20 ottobre 2007. Il testo riproduce la relazione ivi esposta, analizzando le problematiche dell’abitare abusivo sotto un profilo criminologico. Si osserva che là dove gli insediamenti abitativi non sono disciplinati e controllati si creano ‘ zone franche’ , al riparo delle quali cresce e prospera un sottobosco di clandestinità, devianza e criminalità. L’abitare abusivo spesso costituisce uno stile di vita per alcune categorie di devianti, quali i vagabondi ed i clochards, che sono spesso inclini a commettere tutta una serie di reati di reati minori- risse, piccoli furti, danneggiamenti, ecc. – e che comunque costituiscono un campanello di allarme per la criminologia, in quanto sono essi stessi a rischio di vittimizzazione. Ma, accanto a questa prima categoria di ‘abitanti abusivi’, ne esistono altre che generano una preoccupazione ben maggiore, perchè si tratta di persone che ricercano una sistemazione abusiva per coprire i loro stessi reati. Fra costoro si possono creare ulteriori distinzioni : da un lato, persone che si nascondono perché non hanno diritto a rimanere in Italia – in quanto senza permesso di soggiorno o colpite da un decreto di espulsione- e persone che ricercano la clandestinità per potere svolgere indisturbate i propri traffici illeciti. Questo ultimo gruppo si dimostra portatore di notevoli valenze criminali ed i reati ad esso riconducibili sono di indiscussa gravità : favoreggiamento della prostituzione, spaccio di stupefacenti,ricettazione, traffico di armi,e molti altri reati connessi allo sfruttamento, soprattutto di donne e di minori,riconducibili in sostanza alle fattispecie descritte dagli articoli 600, 600bis e 601 del Codice Penale, spesso resi noti all’opinione pubblica dai titoli dei giornali che parlano di ‘ lavoro nero’, ‘minori argati’,’ pedofilia’,’prostituzione minorile’, ‘tratta di schiavi’, ‘ commercio di organi’. A questo catalogo delinquenziale si possono aggiungere fattispecie collegate a fenomeni conseguenti al vivere clandestino e criminale, quali i regolamenti di conti - con conseguenti lesioni ed uccisioni fra criminali -, nonché le intimidazioni ed aggressione nei confronti di estranei malcapitati. Spesso, la presenza di tale clandestinità criminale condiziona la vita di un intero quartiere, spesso ‘contagiando’ anche gli abitanti regolari, oppure intimidendoli e vittimizzandoli al punto da costringerli ad andarsene. L’intero quartiere rimane così ‘ in mano’ alla criminalità. Il problema è grave e non occorre soltanto lottare con ogni mezzo disponibile , sociale e di polizia, intervenendo là dove la clandestinità abbia già preso piede: appare infatti opportuno, in un’ottica preventiva, evitare alcuni errori spesso commessi da parte di cittadini e pubbliche amministrazione nella gestione dell’assetto del territorio cittadino , che spesso degenerano nella creazione di un ambiente urbano ‘ votato’ alla clandestinità ed al crimine. Il Saggio evidenzia e descrive, con riferimento alla concreta casistica italiana ed anche con il supporto di immagini fotografiche, alcune di queste gravi ‘sviste.’ Si va da errate valutazioni speculative dei privati, avallate da concessioni edilizie superficialmente concesse, che hanno creato quartieri avulsi dal contesto urbano, caratterizzati da un pessimo rapporto qualità prezzo, maltenuti e pertanto destinati ad una decadenza precoce e pertanto appetibili solo da chi ricerca la clandestinità e da extracomunitari che superano l’impasse degli alti canoni vivendo ammassati e subaffittando agli irregolari – sono i casi evidenziati del Quartiere Braida a Sassuolo, del Complesso Serenissima a Padova e di Urbino2 a Ponte Armellina di Urbino-, fino all’incuria da parte di proprietari e della stessa Pubblica Amministrazione nei confronti di edifici- case, scuole, fabbriche, padiglioni all’interno di Parchi pubblici- caduti in disuso ed abbandonati alla sporcizia ed al degrado- basta pensare alla fabbrica dimessa occupata abusivamente a Milano e divenuta sede del ‘Centro sociale Leoncavallo’, o al bacino di coltura della criminalità costituito, fino ad un recente sforzo di bonifica, dalla zona dei piccoli edifici che ‘abbellivano’il Parco del Valentino a Torino. Talvolta anche iniziative nate con intenti sociali possono degenerare se vengono effettuate senza un’adeguata riflessione circa le ricadute criminali connesse alla scelta di inserire utenti già caratterizzati da problematiche sociali all’interno di tipologie abitative che, pur corrispondendo a moderni stilemi architettonici, a causa della loro ampiezza e scarsa connessione con il resto del territorio producono isolamento, disgregazione sociale e facilitano l’abusivismo e le opportunità criminali. Gli esempi del ‘Serpentone’ di Corviale a Roma – i cui ballatoi, pianerottoli e la stessa lunga galleria sono diventati spazi di abitazione abusiva e sede di criminalità- e delle ‘Vele’ di Scampia, la cui intensa valenza criminale ha determinato la scelta estrema dell’abbattimento- sono a questo proposito emblematici. Le linee programmatiche proposte sono pertanto quelle di una ‘prevenzione avanzata’, volte ad evitare le cause che sono ‘ a monte’ del fenomeno dell’abusivismo e della criminalità ad esso connessa e sono rivolte tanto a tutti cittadini , quanto agli Urbanisti, ai Progettisti ed alla Pubblica Amministrazione : curare la manutenzione degli edifici dismessi e, se possibile, riqualificarli con nuove destinazioni d’uso; impiegare maggiore consapevolezza fin dalla stesura dei piani regolatori e dal momento della concessione dei permessi di costruire,valutando in concreto tanto le chances di vitalità di un territorio urbano, quanto la idoneità di un’opera edilizia in rapporto alle disponibilità economiche,alle esigenze ed alle caratteristiche sociali e culturali dei possibili utenti concreti. Ovviamente, tutto ciò dovrà essere inquadrato all’interno di politiche sociali di più ampio respiro,dirette ad evitare discriminazione e pericolose ghettizzazioni ed a favorie l’interazione e la partecipazione degli abitanti alla gestione della città.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11576/2504566
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact