All’affacciarsi di una realtà tradotta dal pixel nel suo farsi oggetto obsolescente la fotografia si reinventerebbe come medium. Come indice, come matrice, come utero fecondo, la fotografia nel farsi digitale ammette candida di aver tradito il suo stesso principio di impronta per ritornare ad una forma di iconicità epilettica. La fotografia digitale, con mezzi ancora più illusori di quelli passati, dà luogo all’immagine profusa. Continuamente frammentata e ricomposta, allucinatoria e sospetta. Va considerata l’idea che la fotografia in generale, sia essa tradizionale o digitale, si basi essenzialmente su una struttura molteplice, ovvero suggerisca una produzione di senso (o di non senso) non gerarchizzata ma ramificata. La digitale si inscriverebbe nel panorama della “produttività riproducibile” e riproducibilità produttiva, che, da Duchamp in poi, cortocircuita e fonda le categorie estetiche e culturali della società, ovvero nella possibilità di cancellare una volta per tutte gli scatti non perfetti, quelli non utilizzabili. Ma anche nell’ottica di un passaggio dall’acheiropoiesi alla manipolazione. Il recupero della dimensione tattile reinventa la dimensione mediale della fotografia digitale come l’assenza di intervento manuale aveva fatto per la fotografia tradizionale. Poiché rimane innegabile il fatto che la fotografia come oggetto speculativo si inscriverebbe in un panorama caratterizzato da una pluralità di linguaggi che inghiotte la riproducibilità, non occorre più tentare invano di bloccarla nella definizione di “medium” classica. Essa ha già cannibalizzato quel termine uscendo dalla schiavitù del supporto. Eppure, nonostante la fotografia si sia imposta ferocemente nel dialogo con l’arte, oggi la sua obsolescenza si configura ancora una volta nell’atto di una rivolta, di una reinvenzione. L’incontro con il digitale approda, nella forma più popular possibile, ad una nuova estetica, dove spazio e tempo (categorie di memoria collettiva), diventano luoghi di un vissuto ridisegnato in pixel. L’aberrante perfezione dell’immagine digitalizzata non smentisce la natura criminosa della fotografia ma ne fa, al contrario, un’arma innocente, una forma di espressività proiettiva e mnemonica.
Digitografie. La fotografia digitale nelle pratiche culturali e comunicative
D'AMICO, ERIKA
2008
Abstract
All’affacciarsi di una realtà tradotta dal pixel nel suo farsi oggetto obsolescente la fotografia si reinventerebbe come medium. Come indice, come matrice, come utero fecondo, la fotografia nel farsi digitale ammette candida di aver tradito il suo stesso principio di impronta per ritornare ad una forma di iconicità epilettica. La fotografia digitale, con mezzi ancora più illusori di quelli passati, dà luogo all’immagine profusa. Continuamente frammentata e ricomposta, allucinatoria e sospetta. Va considerata l’idea che la fotografia in generale, sia essa tradizionale o digitale, si basi essenzialmente su una struttura molteplice, ovvero suggerisca una produzione di senso (o di non senso) non gerarchizzata ma ramificata. La digitale si inscriverebbe nel panorama della “produttività riproducibile” e riproducibilità produttiva, che, da Duchamp in poi, cortocircuita e fonda le categorie estetiche e culturali della società, ovvero nella possibilità di cancellare una volta per tutte gli scatti non perfetti, quelli non utilizzabili. Ma anche nell’ottica di un passaggio dall’acheiropoiesi alla manipolazione. Il recupero della dimensione tattile reinventa la dimensione mediale della fotografia digitale come l’assenza di intervento manuale aveva fatto per la fotografia tradizionale. Poiché rimane innegabile il fatto che la fotografia come oggetto speculativo si inscriverebbe in un panorama caratterizzato da una pluralità di linguaggi che inghiotte la riproducibilità, non occorre più tentare invano di bloccarla nella definizione di “medium” classica. Essa ha già cannibalizzato quel termine uscendo dalla schiavitù del supporto. Eppure, nonostante la fotografia si sia imposta ferocemente nel dialogo con l’arte, oggi la sua obsolescenza si configura ancora una volta nell’atto di una rivolta, di una reinvenzione. L’incontro con il digitale approda, nella forma più popular possibile, ad una nuova estetica, dove spazio e tempo (categorie di memoria collettiva), diventano luoghi di un vissuto ridisegnato in pixel. L’aberrante perfezione dell’immagine digitalizzata non smentisce la natura criminosa della fotografia ma ne fa, al contrario, un’arma innocente, una forma di espressività proiettiva e mnemonica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.