In considerazione dell’importanza attuale e prospettica del fenomeno, negli ultimi anni sono state sviluppate diverse prospettive di studio sul contratto di rete, che hanno approfondito l’analisi degli aspetti giuridici, sottolineando l’efficacia di questo nuovo strumento atipico (Cafaggi et al. 2012a; 2012b) e di quelli economico aziendali, portando l’attenzione sulle implicazioni economicogestionali, organizzative e strategiche (Aureli et al. 2011a; 2011b; Aureli e Del Baldo 2012; 2013) e sottolineando il contributo del contratto di rete nel perseguire obiettivi di internazionalizzazione e di innovazione delle PMI di fronte alla crisi. Le analisi si sono soffermate anche sulla validità di questa forma aggregativa in specifici settori, come il turismo (Iaffaldano e Santamato 2012; Pedrana e Bizzarri 2012; Aureli e Forlani 2013; Del Baldo 2014). Le riflessioni emerse ne rimarcano vincoli e punti di forza, specie con riferimento alle opportunità di sviluppo internazionale che scaturiscono, direttamente o indirettamente, dall’aggregazione nella forma del contratto di rete. Tuttavia, appare ancora poco indagata la sua diffusione presso le imprese artigiane, che costituiscono una componente importante del tessuto socio-economico italiano e rappresentano spesso anche quella in cui persistono aree di debolezza legate al prevalere di una cultura imprenditoriale poco sensibile all’apertura internazionale, radicata nella logica di distretto e dove l’aggregazione è più spesso realizzata attraverso la partecipazione a consorzi o forme associative in cui le singole aziende artigiane, subfornitrici di imprese più grandi, mantengono un ruolo ancillare o vivono un rapporto di dipendenza. Posta quindi come premessa l’ipotesi dell’esistenza di maggiori difficoltà nel processo di sviluppo internazionale delle imprese artigiane e tenendo conto dell’importanza dell’internazionalizzazione per superare la debolezza competitiva e i limiti del mercato domestico, questo lavoro si propone di comprendere quale sia la diffusione e l’efficacia del contratto di rete tra le imprese artigiane rispetto all’obiettivo dell’internazionalizzazione. Gli spunti di riflessione, le cui implicazioni sono rintracciabili sia sul fronte operativo e manageriale che su quello politico, sono tesi a sottolineare se e come il contratto di rete offre alle imprese artigiane l’occasione per diventare «protagoniste» di percorsi di sviluppo estero, ossia partner attivi e superare il diffuso modello di sviluppo estero «trainato» da un’impresa leader (Musso 2006) che, in virtù della maggiore dotazione di risorse e competenze, presiede sul piano operativo e strategico i contatti con i mercati esteri. Rispetto all’obiettivo conoscitivo si è deciso di sviluppare la ricerca empirica seguendo un approccio qualitativo (Eisenhardt 1989; Yin 2003) e di focalizzare l’attenzione sui contratti di rete stipulati nella provincia di Pesaro-Urbino che comprendono tra i nodi una o più imprese artigiane, assumendo come database l’universo dei contratti di rete stipulati in Italia al 1o gennaio 2014. La scelta di una provincia marchigiana è motivata dalla presenza di una vocazione imprenditoriale artigiana particolarmente evidente in questa area della «Terza Italia» (Fuà e Zacchia 1983), che vanta alcuni tra i distretti più noti del made in Italy. Con il 31,1% di imprese artigiane sul totale delle imprese attive, le Marche sono precedute solo da Valle d’Aosta (34,1%), Liguria (32,68%), Emilia Romagna (32,67%), Piemonte (31,77%) e Lombardia (31,42%)2. Inoltre, se in termini assoluti le Marche registrano a fine 2012 solo 49.831 aziende artigiane, dopo la Valle d’Aosta rappresentano la regione a più alta densità di imprese, con un rapporto pari a 32,3 imprese artigiane ogni 1.000 abitanti, contro una media nazionale di 24,9 (UnionCamere-Telemaco). Dal punto di vista metodologico si è proceduto estraendo dal database nazionale i contratti di rete aventi sede (almeno uno dei nodi) nella provincia di Pesaro-Urbino; in questo modo sono state ottenute 22 reti, successivamente selezionate in funzione del parametro «presenza di obiettivi di internazionalizzazione » nell’oggetto del contratto. Questa seconda fase ha permesso di identificare 6 contratti di rete, dei quali, tramite il sistema informativo camerale Telemaco, è stato possibile visionare il contratto originale, sottoposto ad una prima fase di analisi documentale. Successivamente è stato formulato un questionario semi-strutturato, articolato in diverse sezioni tese ad acquisire informazioni relative ai singoli nodi e alla rete, indirizzato (tramite mail, previo contatto telefonico) a tutte le imprese aderenti alle reti selezionate, individuando come interlocutore l’imprenditore/l’amministratore delegato o il responsabile designato per la gestione del contratto. Hanno risposto all’indagine nove aziende appartenenti a tre contratti di rete (Design Connection, Gusterete, Italian Building Network), sui quali è stata sviluppata un’analisi di profondità, che si è soffermata in particolare sulla presenza di forme di sviluppo internazionale antecedenti alla stipulazione del contratto, sulle motivazioni dell’adesione alla rete, sul ruolo del contratto di rete come driver dell’internazionalizzazione e sui benefici conseguiti. I risultati dell’analisi danno atto della validità del contratto di rete, che dà una risposta concreta, con implicazioni sul piano operativo e strategico, soprattutto alle PMI e, nello specifico, alle imprese artigiane. Fare rete significa poter acquisire una maggiore visibilità nei confronti di clienti e fornitori, rendere più percepibile sul mercato il valore creato nell’ambito di reti di tipo verticale, ma anche acquisire una maggiore attenzione, esigenza oggi particolarmente avvertita, da parte delle amministrazioni pubbliche ed istituzioni finanziarie, ottenendo risultati che singolarmente non si potrebbero raggiungere, in termini di utilizzo di infrastrutture o servizi altrimenti non accessibili In sintesi, parafrasando Peloso (2011, p. 171), si può dire che le potenzialità ci sono, ma che per tradursi in risultati concreti occorre lavorare ancora in due direzioni. In primo luogo è necessario agire sulla mentalità imprenditoriale: i giudizi sulla efficacia/soddisfazione del contratto di rete, non sempre del tutto positivi, fanno trapelare una certa insofferenza o comunque un atteggiamento interlocutorio rispetto ai risultati attesi, che segnala il persistere di una mentalità opportunistica, che va corretta, perché la visibilità verso gli stakeholder e il processo di internazionalizzazione si consolidano in tempi medio-lunghi e sono tanto maggiori quanto più articolata è la programmazione e la condivisione del progetto di sviluppo internazionale, che non si risolve con la partecipazione saltuaria a fiere internazionali. In secondo luogo occorre individuare gli attori che più di altri possono giocare un ruolo critico nel sostenere non solo la creazione, ma l’efficacia nel tempo del contratto di rete. Emerge infatti il bisogno, che è particolarmente forte per le imprese artigiane, di un maggiore e durevole supporto soprattutto da parte delle associazioni di categoria che, in molti casi, hanno attivamente partecipato alla formazione del contratto di rete e, dimostrando una particolare sensibilità, si sono mosse proattivamente sondando l’interesse degli associati verso la creazione di contratti di rete o altre forme di collaborazione, anche sviluppando specifici skill come mediatori di rete (si veda il caso della rete ‘Insieme Si Può’ creata da Confindustria, Confartigianato e CNA della Provincia di Pesaro). Tuttavia, la leadership della rete resta un aspetto cruciale e diventa necessario il ruolo dell’associazione di categoria nel ricoprire il ruolo di coordinatore forte, capace di «distribuire» uniformemente l’impegno dei partecipanti, di facilitare la condivisione degli obiettivi, di garantire la trasparenza, oltre che di apportare competenze in campo commerciale internazionale, ruolo che a volte manca, perché non sempre è individuabile in un’impresa leader del contratto di rete, tenendo conto che la maggior parte delle aziende artigiane sono poco strutturate e che tutte le risorse sono impegnate nella gestione corrente e non possono essere impiegate per la gestione e il coordinamento della rete. Questa lacuna spiega in parte le difficoltà e i ritardi segnalati dagli imprenditori nella fase operativa e la discordanza nella percezione dei benefici. E specie quando il contratto di rete è «indotto» dall’associazione, diventa cruciale il suo ruolo di governo e di mediazione sia per sviluppare e consolidare il capitale relazionale e di fiducia, che per mettere in campo conoscenze tecnico-gestionali ponendosi come soggetto esterno riconosciuto e stimato, in grado di capire le differenze culturali dei nodi della rete e di gestire aspetti negoziali legati al processo di acquisizione e gestione delle commesse, facendosi interprete e mediatore nella dialettica tra le imprese della rete e favorendo la scoperta di ulteriori campi e problemi su cui lavorare insieme.

Contratto di rete e imprese artigiane: quali prospettive per l’internazionalizzazione?

DEL BALDO, MARA
2014

Abstract

In considerazione dell’importanza attuale e prospettica del fenomeno, negli ultimi anni sono state sviluppate diverse prospettive di studio sul contratto di rete, che hanno approfondito l’analisi degli aspetti giuridici, sottolineando l’efficacia di questo nuovo strumento atipico (Cafaggi et al. 2012a; 2012b) e di quelli economico aziendali, portando l’attenzione sulle implicazioni economicogestionali, organizzative e strategiche (Aureli et al. 2011a; 2011b; Aureli e Del Baldo 2012; 2013) e sottolineando il contributo del contratto di rete nel perseguire obiettivi di internazionalizzazione e di innovazione delle PMI di fronte alla crisi. Le analisi si sono soffermate anche sulla validità di questa forma aggregativa in specifici settori, come il turismo (Iaffaldano e Santamato 2012; Pedrana e Bizzarri 2012; Aureli e Forlani 2013; Del Baldo 2014). Le riflessioni emerse ne rimarcano vincoli e punti di forza, specie con riferimento alle opportunità di sviluppo internazionale che scaturiscono, direttamente o indirettamente, dall’aggregazione nella forma del contratto di rete. Tuttavia, appare ancora poco indagata la sua diffusione presso le imprese artigiane, che costituiscono una componente importante del tessuto socio-economico italiano e rappresentano spesso anche quella in cui persistono aree di debolezza legate al prevalere di una cultura imprenditoriale poco sensibile all’apertura internazionale, radicata nella logica di distretto e dove l’aggregazione è più spesso realizzata attraverso la partecipazione a consorzi o forme associative in cui le singole aziende artigiane, subfornitrici di imprese più grandi, mantengono un ruolo ancillare o vivono un rapporto di dipendenza. Posta quindi come premessa l’ipotesi dell’esistenza di maggiori difficoltà nel processo di sviluppo internazionale delle imprese artigiane e tenendo conto dell’importanza dell’internazionalizzazione per superare la debolezza competitiva e i limiti del mercato domestico, questo lavoro si propone di comprendere quale sia la diffusione e l’efficacia del contratto di rete tra le imprese artigiane rispetto all’obiettivo dell’internazionalizzazione. Gli spunti di riflessione, le cui implicazioni sono rintracciabili sia sul fronte operativo e manageriale che su quello politico, sono tesi a sottolineare se e come il contratto di rete offre alle imprese artigiane l’occasione per diventare «protagoniste» di percorsi di sviluppo estero, ossia partner attivi e superare il diffuso modello di sviluppo estero «trainato» da un’impresa leader (Musso 2006) che, in virtù della maggiore dotazione di risorse e competenze, presiede sul piano operativo e strategico i contatti con i mercati esteri. Rispetto all’obiettivo conoscitivo si è deciso di sviluppare la ricerca empirica seguendo un approccio qualitativo (Eisenhardt 1989; Yin 2003) e di focalizzare l’attenzione sui contratti di rete stipulati nella provincia di Pesaro-Urbino che comprendono tra i nodi una o più imprese artigiane, assumendo come database l’universo dei contratti di rete stipulati in Italia al 1o gennaio 2014. La scelta di una provincia marchigiana è motivata dalla presenza di una vocazione imprenditoriale artigiana particolarmente evidente in questa area della «Terza Italia» (Fuà e Zacchia 1983), che vanta alcuni tra i distretti più noti del made in Italy. Con il 31,1% di imprese artigiane sul totale delle imprese attive, le Marche sono precedute solo da Valle d’Aosta (34,1%), Liguria (32,68%), Emilia Romagna (32,67%), Piemonte (31,77%) e Lombardia (31,42%)2. Inoltre, se in termini assoluti le Marche registrano a fine 2012 solo 49.831 aziende artigiane, dopo la Valle d’Aosta rappresentano la regione a più alta densità di imprese, con un rapporto pari a 32,3 imprese artigiane ogni 1.000 abitanti, contro una media nazionale di 24,9 (UnionCamere-Telemaco). Dal punto di vista metodologico si è proceduto estraendo dal database nazionale i contratti di rete aventi sede (almeno uno dei nodi) nella provincia di Pesaro-Urbino; in questo modo sono state ottenute 22 reti, successivamente selezionate in funzione del parametro «presenza di obiettivi di internazionalizzazione » nell’oggetto del contratto. Questa seconda fase ha permesso di identificare 6 contratti di rete, dei quali, tramite il sistema informativo camerale Telemaco, è stato possibile visionare il contratto originale, sottoposto ad una prima fase di analisi documentale. Successivamente è stato formulato un questionario semi-strutturato, articolato in diverse sezioni tese ad acquisire informazioni relative ai singoli nodi e alla rete, indirizzato (tramite mail, previo contatto telefonico) a tutte le imprese aderenti alle reti selezionate, individuando come interlocutore l’imprenditore/l’amministratore delegato o il responsabile designato per la gestione del contratto. Hanno risposto all’indagine nove aziende appartenenti a tre contratti di rete (Design Connection, Gusterete, Italian Building Network), sui quali è stata sviluppata un’analisi di profondità, che si è soffermata in particolare sulla presenza di forme di sviluppo internazionale antecedenti alla stipulazione del contratto, sulle motivazioni dell’adesione alla rete, sul ruolo del contratto di rete come driver dell’internazionalizzazione e sui benefici conseguiti. I risultati dell’analisi danno atto della validità del contratto di rete, che dà una risposta concreta, con implicazioni sul piano operativo e strategico, soprattutto alle PMI e, nello specifico, alle imprese artigiane. Fare rete significa poter acquisire una maggiore visibilità nei confronti di clienti e fornitori, rendere più percepibile sul mercato il valore creato nell’ambito di reti di tipo verticale, ma anche acquisire una maggiore attenzione, esigenza oggi particolarmente avvertita, da parte delle amministrazioni pubbliche ed istituzioni finanziarie, ottenendo risultati che singolarmente non si potrebbero raggiungere, in termini di utilizzo di infrastrutture o servizi altrimenti non accessibili In sintesi, parafrasando Peloso (2011, p. 171), si può dire che le potenzialità ci sono, ma che per tradursi in risultati concreti occorre lavorare ancora in due direzioni. In primo luogo è necessario agire sulla mentalità imprenditoriale: i giudizi sulla efficacia/soddisfazione del contratto di rete, non sempre del tutto positivi, fanno trapelare una certa insofferenza o comunque un atteggiamento interlocutorio rispetto ai risultati attesi, che segnala il persistere di una mentalità opportunistica, che va corretta, perché la visibilità verso gli stakeholder e il processo di internazionalizzazione si consolidano in tempi medio-lunghi e sono tanto maggiori quanto più articolata è la programmazione e la condivisione del progetto di sviluppo internazionale, che non si risolve con la partecipazione saltuaria a fiere internazionali. In secondo luogo occorre individuare gli attori che più di altri possono giocare un ruolo critico nel sostenere non solo la creazione, ma l’efficacia nel tempo del contratto di rete. Emerge infatti il bisogno, che è particolarmente forte per le imprese artigiane, di un maggiore e durevole supporto soprattutto da parte delle associazioni di categoria che, in molti casi, hanno attivamente partecipato alla formazione del contratto di rete e, dimostrando una particolare sensibilità, si sono mosse proattivamente sondando l’interesse degli associati verso la creazione di contratti di rete o altre forme di collaborazione, anche sviluppando specifici skill come mediatori di rete (si veda il caso della rete ‘Insieme Si Può’ creata da Confindustria, Confartigianato e CNA della Provincia di Pesaro). Tuttavia, la leadership della rete resta un aspetto cruciale e diventa necessario il ruolo dell’associazione di categoria nel ricoprire il ruolo di coordinatore forte, capace di «distribuire» uniformemente l’impegno dei partecipanti, di facilitare la condivisione degli obiettivi, di garantire la trasparenza, oltre che di apportare competenze in campo commerciale internazionale, ruolo che a volte manca, perché non sempre è individuabile in un’impresa leader del contratto di rete, tenendo conto che la maggior parte delle aziende artigiane sono poco strutturate e che tutte le risorse sono impegnate nella gestione corrente e non possono essere impiegate per la gestione e il coordinamento della rete. Questa lacuna spiega in parte le difficoltà e i ritardi segnalati dagli imprenditori nella fase operativa e la discordanza nella percezione dei benefici. E specie quando il contratto di rete è «indotto» dall’associazione, diventa cruciale il suo ruolo di governo e di mediazione sia per sviluppare e consolidare il capitale relazionale e di fiducia, che per mettere in campo conoscenze tecnico-gestionali ponendosi come soggetto esterno riconosciuto e stimato, in grado di capire le differenze culturali dei nodi della rete e di gestire aspetti negoziali legati al processo di acquisizione e gestione delle commesse, facendosi interprete e mediatore nella dialettica tra le imprese della rete e favorendo la scoperta di ulteriori campi e problemi su cui lavorare insieme.
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