Nei reportages del ‘ciclo siriano-libanese’ presenti in Fuori di casa Eugenio Montale mostra una filosofia e un atteggiamento psicologico diverso dai corrispettivi in poesia (alcune liriche di ‘Flashes’ e dediche, nella Bufera e altro). La critica – confortata dalle evidenti somiglianze tra prose e poesie – ha spesso supposto che tali articoli erano necessariamente da correlare alla versione lirica, la quale rappresentava un’esperienza identica e, anzi, più intensa del grezzo referto giornalistico. Benché in questa operazione di rifrazione prosa-poesia ci siano innegabili vantaggi interpretativi, i quattro ‘pezzi’ della terza parte di Fuori di casa dànno anche voce a un Montale ironico avant lettre, in anticipo sui temi che saranno trattati in Satura, certamente molto affine alla figura del dandy inglese di cui egli stesso intesse le lodi, come ha notato Enrico Testa, ma anche solidale con i personaggi abbozzati (Julian Huxley su tutti): un Montale insomma scettico e pessimista, osservatore dei sommovimenti politici e delle differenze sociali e culturali, eppure aperto al mistero, decisamente orientato verso la singolarità dell’individuo. Sulla strada di Damasco, in particolare, rivela – nel piacere del puro racconto – la fraterna vicinanza al «regno di Siria», dotato di un potere catalizzatore senza eguali. Il saggio prosegue tentando di leggere i due articoli (Da Gerusalemme divisa e Notarelle di uno dei Mille) che Montale scrisse, in qualità di inviato del «Corriere della Sera», durante il viaggio in Terrasanta di Paolo VI, alla luce dell’incontro nella «terra di Dio» non tanto con la consapevolezza di una generica esperienza del ‘sacro’ (che pure è evidente), bensì in virtù della rara cognizione del ‘santo’ che investe anche alcuni passaggi dell’opera in versi, particolarmente nelle poesie Come Zaccheo e Dove comincia la carità. Riprendendo il serio interrogativo di Antonio Sichera: è possibile ravvisare un Dio di Montale? Il raffronto fra prose e poesie rende ancor più problematica la questione, pur tenendo viva l’idea – in certo modo decisiva – che per ammissione del poeta è impossibile negare che lì, sulla Via Dolorosa, nell’orto del Getsemani dove «la fucina di Dio è più bollente e operosa che in altri luoghi», «qualcosa è accaduto».

Per un Montale siriano e gerosolimitano

Alberto Fraccacreta
2022

Abstract

Nei reportages del ‘ciclo siriano-libanese’ presenti in Fuori di casa Eugenio Montale mostra una filosofia e un atteggiamento psicologico diverso dai corrispettivi in poesia (alcune liriche di ‘Flashes’ e dediche, nella Bufera e altro). La critica – confortata dalle evidenti somiglianze tra prose e poesie – ha spesso supposto che tali articoli erano necessariamente da correlare alla versione lirica, la quale rappresentava un’esperienza identica e, anzi, più intensa del grezzo referto giornalistico. Benché in questa operazione di rifrazione prosa-poesia ci siano innegabili vantaggi interpretativi, i quattro ‘pezzi’ della terza parte di Fuori di casa dànno anche voce a un Montale ironico avant lettre, in anticipo sui temi che saranno trattati in Satura, certamente molto affine alla figura del dandy inglese di cui egli stesso intesse le lodi, come ha notato Enrico Testa, ma anche solidale con i personaggi abbozzati (Julian Huxley su tutti): un Montale insomma scettico e pessimista, osservatore dei sommovimenti politici e delle differenze sociali e culturali, eppure aperto al mistero, decisamente orientato verso la singolarità dell’individuo. Sulla strada di Damasco, in particolare, rivela – nel piacere del puro racconto – la fraterna vicinanza al «regno di Siria», dotato di un potere catalizzatore senza eguali. Il saggio prosegue tentando di leggere i due articoli (Da Gerusalemme divisa e Notarelle di uno dei Mille) che Montale scrisse, in qualità di inviato del «Corriere della Sera», durante il viaggio in Terrasanta di Paolo VI, alla luce dell’incontro nella «terra di Dio» non tanto con la consapevolezza di una generica esperienza del ‘sacro’ (che pure è evidente), bensì in virtù della rara cognizione del ‘santo’ che investe anche alcuni passaggi dell’opera in versi, particolarmente nelle poesie Come Zaccheo e Dove comincia la carità. Riprendendo il serio interrogativo di Antonio Sichera: è possibile ravvisare un Dio di Montale? Il raffronto fra prose e poesie rende ancor più problematica la questione, pur tenendo viva l’idea – in certo modo decisiva – che per ammissione del poeta è impossibile negare che lì, sulla Via Dolorosa, nell’orto del Getsemani dove «la fucina di Dio è più bollente e operosa che in altri luoghi», «qualcosa è accaduto».
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